Quando tre anni or sono mi fu proposto di contribuire alla soluzione di alcuni problemi che angustiavano l'allora presidente Sergio Valentini, rimasi sbigottito nel verificare quanto fosse diffusa fra gli associati Silb l'abitudine a etichettarsi con il termine di "discotecari". Bene che andasse incontravo persone che si definivano "gestori".
Una delle conseguenze positive nate dal confronto con gruppi di pressione ostili alle discoteche è stata quella di consolidare l'idea che le aziende di questo comparto debbano essere governate da una leadership imprenditoriale. Ma passare dall'etichetta di discotecaro a quella di imprenditore non è un processo lineare. Una nuova cultura d'impresa non la si improvvisa. Ad aggravare la situazione contribuisce una assai diffusa mancanza di elaborazione del concetto di imprenditore. Infatti quasi sempre si interpreta il ruolo di questo soggetto economico concentrando l'attenzione sull'uomo d'affari che si muove come produttore o venditore di beni individuali ossia privati.
In prima istanza non è mai inutile sottolineare la fitta rete di innervazioni che legano un imprenditore ad un contesto non sempre generalizzabile. Va altresì aggiunto che, e veniamo allo specifico delle discoteche, nelle società democratiche è andata affermandosi un'idea di imprenditore che si legittima a partire dall'aiuto che offre a un gruppo per ottenere un bene pubblico di cui è privo. Noi sappiamo che in tutte le forme di vita, la musica, il ballo, i rituali della vita di "relazione" ai margini dei linguaggi fortemente istituzionalizzati finiscono con l'avere un'importanza inversamente proporzionale alla nostra capacità di comprenderne il senso. Per esempio, meno ci vediamo chiaro nei comportamenti dei giovani nel loro tempo libero e più ci rendiamo conto che sono in gioco forze decisive.
Allora, dal mio punto di vista, un'analisi del ruolo dell'imprenditore di discoteche dovrebbe cominciare dalla difficoltà che i giovani trovano nel procurarsi i beni che sopra ho evocato nei termini di musica, ballo e un certo modo di declinare la vita di relazione. La maggior parte dei giovani, anche quelli raggruppati in piccole o grandi tribù, sono incapaci di procurarsi con facilità e senza rischi questi beni pubblici in mancanza di "sottoprodotti" che conferiscano ad essi una forma particolare. La discoteca è un sottoprodotto di questi beni universali che sono la musica, il ballo, la vita di relazione. L'imprenditore di discoteche contribuisce ad organizzare gli sforzi orientati a tutelare un "bene pubblico" al fine di ridistribuirlo anche a quei piccoli gruppi che in balia di se stessi non ne avrebbero accesso se non in forme perverse, pericolose, al di fuori di ogni controllo. A questo punto sono in grado di afferrare bene le difficoltà logiche ed empiriche dei soggetti economici che investono risorse nel comparto discoteca: da un lato hanno a che fare con un bene pubblico creato dal concorso di cause storiche aldilà di qualsivoglia calcolo; dall'altro lato devono creare un sottoprodotto di questo bene pubblico per consentirne la ridistribuzione secondo criteri di razionalità, economicità, sicurezza. Sarebbe come dire che ogni imprenditore di discoteca è, forse più di altri, al tempo stesso imprenditore politico ed economico. Questo spiega la complessità della discoteca, a torto pensata come struttura effimera. E altresì dà valore agli sforzi fatti da alcune avanguardie di questi imprenditori al fine di consolidare logiche di azione collettiva per rispondere agli scompensi dovuti alla duplice natura del prodotto discoteca.