Mente scrivo queste righe siamo in piena bagarre per l'approvazione della finanziaria 1994, con un governo che ha presentato un progetto e un parlamento che sta portando avanti migliaia di emendamenti. Anche noi vorremmo un emendamento su quell'assurdo balzello, fra i tanti, che paghiamo e che va sotto il nome di imposta spettacolo. Vale la pena di ricordare che questa imposta esiste solo in Italia e che, per perequazione impositiva, l'Italia dovrebbe abolirla al pari degli altri paesi della Comunità europea. Nelle alte sfere del ministero delle Finanze qualcuno, però, ci ha fatto sapere che non è possibile abolirlo perché lo Stato ci rimetterebbe 160 miliardi e che, di questi tempi, si possono far quadrare i bilanci solo lasciando le cose come sono. Così, sotto varie forme, il prelievo per la nostra categoria rimane superiore al 65% dell'incasso lordo e 120 mila posti di lavoro (tanti sono gli addetti) risultano a rischio.

Allora voglio ricordare lo scandalo di un settore dello spettacolo che, sotto l'etichetta della cultura, continua a colpire tutti gli italiani in misura ben superiore. Alludo agli enti lirici che stanno incenerendo migliaia di miliardi prelevati con tasse e sovrattasse dalle tasche di tutti. Secondo dati ufficiali della Corte dei Conti, la casistica e assai ampia e ben documentata: basta ricordare il Teatro dell'Opera di Genova che vanta qualcosa come 2793 miliardi di debito consolidato, il Teatro dell'Opera di Roma (2658), il Teatro Regio di Torino (2341), il Teatro Lirico di Cagliari (1160 miliardi sempre di debiti). E, ciliegina sulla torta, il Teatro Lirico di Palermo chiuso da ben 13 anni, ma che continua a pagare gli stipendi e assumere personale. Non basta? Sappiate allora che agli 900miliardi che compongono il Fondo Unico per lo Spettacolo (tasse prelevate dalla Siae e ridistribuite sotto forma di sovvenzioni) gli enti lirici contribuiscono con un gettito fiscale di 8 miliardi ricevendo in cambio il 47% del Fondo stesso. Il nostro settore, che va sotto la voce musica leggera e trattenimenti danzanti, concorre con un gettito fiscale (dati Siae 92) di 130 miliardi. Con quali ritorni, con quali sovvenzioni?

In nome della cultura, certo non responsabile di questi sperperi, siamo arrivati a un assurdo scandaloso: e nessun ministro delle finanze, tanto zelanti e puntuali nello "spremerci", ha mai avuto il coraggio di tagliare questo pozzo senza fondo. Ripeto: tutto questo viene fatto nel nome della cultura, ma chissà se sono d'accordo i cassintegrati a zero ore della Fiat, della Olivetti e di altre decine di aziende i cui titolari non mancano mai alle prime di questi teatri? Oppure questi teatri sono così foraggiati per permettere a disoccupati e cassintegrati di impiegare meglio il loro tempo libero? Non vorrei dover sperare che, per sanare certe incongruenze, debba prima o poi intervenire qualche giudice....

Bruno Cristofori
Presidente Sindacato Italiano Locali da Ballo