Non è pensabile che esistano discoteche senza consumo di stupefacenti. Esse rispecchiano la realtà, quindi se i ragazzi abusano di sostanze persino nelle scuole, negli ambienti di lavoro, e utopistico pensare che la droga non entri in questi locali.
II problema è semmai quello di fare in modo che la discoteca, e I’attività che i giovani vi esercitano, non promuova I’uso della droga. La discoteca non è terapia per il consumatore di sostanze stupefacenti, ma non deve essere nemmeno luogo di promozione. Non solo nel senso di impedire lo spaccio al suo interno, ma facendo sì che lo stress venga affrontato e controllato senza dover ricorrere alle droghe da discoteca, agli psicostimolanti. Ed è a questo proposito che si sono suggerite delle piccole strategie di riduzione della fatica propria dello stress. Abbiamo proposto:
- controllare I’intensità della musica (non superare i 95 decibel misurati al centro della pista);
- prevedere pause di 15 minuti ogni 2 ore, riempiendole con trattenimenti diversificati e attraenti;
- ridurre progressivamente la frequenza ritmica in modo da raggiungere non più di 100 battiti al minuto prima della chiusura;
- attivare il “rito d’uscita”, promuovendo attivita che trattengano, cessata la musica, almeno un quarto d’ora i ragazzi prima del ritomo. In quest’ultima parte. Potrebbe essere utile disporre di aiuto per qualche ragazzo in “crisi”.
Come si vede, I’atteggiamento e quello di migliorare il tempo in discoteca, non quello di combatterla come si trattasse di un demone. Eliminare le discoteche, o gestirle con orari che non rientrano nel rito celebrativo, ha il sapore delle lotte integraliste e inutilmente autoritarie. Laddove ciò è stato provato, ha generato fenomeni ancor più preoccupanti. Ci riferiamo agli “after hour” e ai “rave”, riunioni clandestine in cui si ricrea I’atmosfera della discoteca senza un ambiente idoneo e senza controllo, sicchè finiscono per diventare “discoteche estreme” o “patologiche”. Non appena si chiude la discoteca, ci si dirige in luoghi in cui si continua a ballare, respirando però un clima di proibito e clandestino. E si può giungere sino alia filosofia rave in cui lo scopo dell’incontro e lo sballo attraverso l'ecstasy, che diventa un elemento rituale e dunque “obbligatorio”.
Tutti coloro che vedono il demonio nelle discoteche farebbero bene a immaginare quale sarebbe lo scenario se non ci fossero: dove andrebbero quei cinque milioni di giovani ogni settimana? Mi auguro che in futuro le famiglie cerchino di conoscere di più le discoteche e si riuniscano con i figli per poter apportarvi delle utili modifiche di gestione, essendo magari più incisivi nei confronti di alcune che già sono degli “after hour” o dei “rave”.
L’interesse verso la discoteca non dovrebbe essere meno intenso di quello verso la scuola. I genitori hanno il sacrosanto diritto di conoscere i luoghi frequentati dai propri ragazzi e di agire in modo che possano corrispondere ai loro bisogni che certamente non sono i propri.
Uno sforzo va fatto dagli adulti per capire il linguaggio musicale, altrettanto ricco di messaggi quanto quello scritto. Mi sarebbe piaciuto molto che Bob Dylan fosse stato insignito del premio Nobel per la poesia (era candidato), così una generazione di padri si accorgerebbe che i propri figli, andando ai concerti e ascoltando i dischi di questo autore, erano impegnati anche nella cultura.